La possibile candidatura di Alessandro Del Piero alla presidenza della FIGC, in sostituzione del presidente in carica Gabriele Gravina, è la notizia che più agita il panorama calcistico italiano in queste ultime ore. La suggestiva ipotesi ha preso piede nei giorni in cui Gravina dovrebbe sciogliere le riserve sulla disponibilità per un terzo mandato, in vista delle elezioni assembleari indette per il 3 febbraio.
Il secondo quadriennio (2021-2024) di Gravina è stato segnato da brucianti delusioni, la mancata qualificazione ai Mondiali nel 2022 e la spedizione fallimentare all’Europeo la scorsa estate, e da sospetti legati a nomine e politiche federali finalizzate alla creazione di un “Sistema” che lo blinderebbe al vertice della Federazione. A conferma di questa tesi sarebbero ascrivibili gli avvicendamenti alla presidenza nella Lega Dilettanti e di Serie C, con la messa da parte rispettivamente dello storico rivale Cosimo Sibilia e dell’ex sodale Ghirelli, in favore di due uomini vicini al Presidente come il sempreverde Giancarlo Abete e il giornalista Matteo Marani.
A queste nomine di “potere”, che poco appassionano i molti, si sono aggiunti provvedimenti e dichiarazioni, parsi arroganti e incuranti del fatto di ricoprire un ruolo finanziato in gran parte dalle tasche dei cittadini. Difficile dimenticare la convocazione del Consiglio Straordinario con all’ordine del giorno il provvedimento per l’aumento del proprio stipendio, da 36000 a 240000 euro, così come la mancata assunzione di responsabilità nei giorni immediatamente successivi all’imbarazzante Europeo della Nazionale guidata da Spalletti, quando, a chi gli chiedeva un passo indietro, ebbe a dire:”“Non esiste nell’ambito di una governance federale qualcuno che dall’esterno possa pretendere le dimissioni”.
Zone d’ombra impossibili da associare alla figura di Alessandro Del Piero, la cui correttezza dentro e fuori dal campo non è mai stata oggetto di discussione, che esercita un appeal fortissimo nei media e tra la base degli appassionati. Di contro, le brevi esperienze in ruoli di vertice di fuoriclasse come Baggio e Rivera testimoniano quanto a volte sia poco compatibile il ruolo di ex calciatore con quello da dirigente nella FIGC; quanto idee e buoni propositi trovino la porta chiusa nei piani alti dove la burocrazia e l’immobilismo esasperato e, delle volte, opportunista sono di casa.
Il “Divin Codino”, nominato presidente del Settore Tecnico della Federazione nel 2011, gettò la spugna nel 2013, stanco e deluso dopo aver messo a punto un piano di valorizzazione delle realtà calcistiche giovanili e territoriali che non venne mai messo in moto. Nell’intervista al Tg1 in cui spiegò le ragioni dell’addio, espresse senza mezzi termini le ragioni per le quali le famose “ riforme necessarie” alla ripartenza del calcio in Italia resteranno una chimera per ancora molto tempo:“Non mi è stato permesso di lavorare , il mio programma di 900 pagine è rimasto lettera morta. Ne traggo le conseguenze, non sono più disponibile ad andare avanti” e ancora, sui meccanismi decisionali ed esecutivi “Non avevo diritto di voto e ho capito che era inutile stare ad assistere a riunioni che nulla avevano a che fare con il mio incarico di presidente del settore tecnico. Faccio un esempio: quando abbiamo presentato il progetto, abbiamo fatto cinque ore di anticamera e abbiamo avuto un quarto d’ora per presentarlo. È stato approvato, sono stati stanziati 10 milioni, e sono grato al presidente Abete. Ma purtroppo al momento non ho ricevuto i fondi, e tutto è rimasto sulla carta”.
Gianni Rivera, che pure uomo di Palazzo e parlamentare lo era già stato. ha trovato più urticante il suo trascorso in FIGC che l’avvicendarsi di 4 diversi governi nel burrascoso quinquennio 1996-2001, vissuto da sottosegretario alla Difesa.
Ad oggi è difficile dire se l’idea di candidare Del Piero non sia solo una strategia dei due più agguerriti avversari di Gravina presenti nella Lega Serie A, Lotito e De Laurentiis, con il fine di creare un po’ di battage mediatico sulle imminenti elezioni, mettendo di conseguenza pressione a un Presidente uscente che sembra inamovibile dal suo incarico. Certo è che, se la candidatura si concretizzasse, si profilerebbe una corsa alla guida della Federazione molto più incerta del previsto, considerato anche che il 3 febbraio ogni delegato voterà per sé, e venendo meno il peso specifico delle singole Leghe di categoria. Chissà che Pinturicchio non stia già pensando a come aggirare, con una nuova prodezza, tutti gli ostacoli che gli si porrano davanti.